Nella città di Marabà, secondo centro più popolato dello stato del Parà, ai confini della foresta amazzonica, a cinquecento km dall’Equatore ed a più di duemila da Salvador, opera da diversi anni padre Bruno Schizzerotto. Questi, assieme a Padre Gigi Muraro nativo di Montecchio Maggiore ed a Padre Jo originario dell’India, si prodiga al fine di combattere col suo servizio la difficile realtà locale.
Attraverso Marabà passa la transamazzonica, tracciato stradale, asfaltato in minima parte, che collega l’Oceano Atlantico con l’Oceano Pacifico: durante la stagione piovosa, che va da dicembre ad aprile, non è transitabile e per il resto dell’anno è possibile utilizzarla dopo aver rifatto le infrastrutture andate distrutte a causa delle piogge. Queste hanno comunque il benefico effetto di far rinverdire la terra e di renderla coltivabile: i campesinos raccolgono fagioli, mandioca, riso e recentemente anche soia.
Poichè l’humus ha poca consistenza la coltivazione non dura più di un anno e nella successiva stagione la semina viene allocata su un altro appezzamento di terra.
Nelle zone a sud del Brasile il clima e la vita civile ed economica sono simili alla situazione italiana, ma nelle zone del nord del Brasile dove si trova Marabà domina il latifondo agrario, che preferisce utilizzare le terre per gli allevamenti estensivi del bestiame; inconsistente è il ceto medio e la maggior parte della popolazione vive in condizioni da sottosviluppo; insufficienti per non dire assenti sono le infrastrutture pubbliche, quali le strade, le scuole, gli ospedali.
La zona ,inoltre, è ricca di risorse minerarie: petrolio a Salvador, oro a Serra Pelada e ferro a Carajàs. Qui l’escavazione dei metalli ferrosi è nelle mani dei giapponesi, che ne hanno programmato l’utilizzazione ancora per cinquant’anni. Essi hanno provveduto alla costruzione di una ferrovia di novecento km fino ad arrivare al porto di San Luìs.
A Serra Pelada l’escavazione del materiale aurifero può essere effettuato oggi solo con attrezzature meccanizzate. La terra collinare sovrastante è stata scavata dagli uomini di ogni età che negli ultimi decenni si sono affannati sui pendii con la classica paletta e il sacco di terra sulle spalle; una volta portato a valle veniva effettuata la ricerca delle agognate pepite tra la contenuta nel sacco.
Padre Bruno Schizzerotto, nato nel 1941 a Noventa Vicentina, ottavo di dieci fratelli, gesuita, opera dal 1972 in Brasile. Attualmente a Marabà, Parroco della parrocchia di San Francesco, collabora anche all’organizzazione di una scuola professionale, “Obra Kolping”, dove i trecento alunni che ogni anno frequentano la scuola acquisiscono una qualificazione professionale come elettricisti, falegnami, meccanici ed apprendono anche altri lavori.
Quando arriva in Italia,risiede ad Este,dove è accolto calorosamente non solo dai sei fratelli e dalle loro famiglie, ma anche dai numerosi amici con i quali ama mantenere sempre vivi i contatti.
In questi giorni si trova in mezzo a noi per un periodo di vacanze. Approfittando della sua gradita visita, gli vogliamo rivolgere alcune domande.
“Fin da ragazzo ho sempre sognato di andare in missione. E’ ancora vivo il ricordo dell’entusiasmo che ha suscitato in me adolescente la lettura del libro “L’isola di Molokai”. Veniva raccontata l’opera di padre Damiano che in questa sperduta isola dell’Asia ha speso la propria vita alla cura dei corpi e delle anime dei lebbrosi, ivi confinati dalle popolazioni vicine. Fare il prete e il missionario non era allora una vocazione isolata: era un desiderio di molte famiglie cristiane ed un ideale di vita coltivato e diffuso nel popolo di Dio. Infatti, dalla stessa quinta elementare, che ho frequentato a Noventa Vicentina, sono usciti altri due missionari: padre Zanchetta e padre Marchesin. A sedici anni, entrando nel noviziato dei gesuiti a Lonigo, volevo porre come condizione di fare il missionario in terra straniera, così forte era il mio desiderio. Mi hanno risposto che la virtù primaria dei gesuiti è l’obbedienza e mi hanno ricordato che i gesuiti si trovano là dove non va nessuno, nelle zone più critiche, di frontiera: insomma, avrei potuto compiere la mia missione ovunque, anche in Italia”.
“In Brasile ho realizzato e continuo a realizzare il mio sogno di vivere il dono del sacerdozio in una terra meravigliosa, ma anche difficile, perché caratterizzata da un grande dislivello sociale e da uno sottosviluppo culturale ed economico. Nei primi cinque anni, dal 1972 al 1977, ho vissuto nello stato dello Spirito Santo, dove tra l’altro vivono molti discendenti di emigrati di origine italiana, ed ho esercitato il mio sacerdozio come assistente diocesano per la formazione della gioventù e dando un’assistenza religiosa presso un collegio pubblico di circa tremila alunni. Ho quindi alternato l’attività pastorale parrocchiale insieme ad un lavoro di formazione e di accompagnamento di giovani brasiliani al noviziato religioso nelle città di Salvador e di Feira de Sant’Ana nello stato di Bahia.
Attualmente, a Marabà, nello stato del Parà, come parroco della parrocchia di San Francesco di circa cinquantamila abitanti, ho effettuato frequenti viaggi all’interno della foresta amazzonica fino a 200 km dal luogo di partenza: i primi 70 km venivano percorsi in treno e poi sempre a piedi, zaino in spalla, portando il vangelo e i sacramenti alle comunità cristiane sparse nella foresta. Quei viaggi, compiuti nell’arco di una settimana, erano veramente un’avventura, una continua sfida di resistenza fisica e morale. Le continue e svariate difficoltà vanno affrontate senza fretta, ma con piglio deciso; non ti permettono di accomodarti, di stare seduti, di vivere di rendita, ma ti offrono continue sollecitazioni e provocazioni, per cui devi buttarti quasi allo sbaraglio, gettando il cuore oltre l’ostacolo, quasi una sfida con te stesso e il buon Dio che ti accompagna e ti aiuta sempre.
Portare Dio tra la gente della foresta amazzonica significa fare i conti con le asperità di una natura selvaggia e incontaminata e con la presenza di animali pericolosi. Per questo, svolgere pienamente il ruolo di sacerdote in queste zone sottosviluppate del Brasile diventa veramente impegnativo. Se da una parte ci preoccupiamo della salute della anime, dall’altra non è possibile rimanere indifferenti e insensibili alla situazione dei più bisognosi e indifesi, come per esempio i “Sem Terra” (senza terra), e allo strapotere dei proprietari terrieri.
Da questa consapevolezza e dalle conseguenti azioni di promozione umana è nato “l’episodio del 2 ottobre 1991″. La città di Marabà nello stato del Parà, era dominata da un’unica famiglia. Il padre era deputato dello stato, il figlio era sindaco della città e , a capo dell’autorità giudiziaria, era preposta la compagna del fratello del sindaco. Il governatore voleva imporre attraverso il provveditore agli studi la nomina di venti nuove direttrici in altrettante scuole dello stato. Queste, per mezzo del loro incarico, avrebbero avuto la possibilità di influenzare l’opinione pubblica in vista delle elezioni comunali dell’anno successivo, per mantenere e consolidare la posizione del governatore in esercizio. Nel tentativo di insediare la nuova direttrice in una delle due scuole, localizzate nell’area della nostra parrocchia, la popolazione è insorta lanciando pomodori e sassi. Mentre eravamo riuniti per decidere cosa si poteva fare, ci è giunta la notizia di scontri nella scuola; ho quindi preso la bicicletta e quando sono giunto presso la scuola ho visto che un plotone di polizia stava picchiando una giovane. Mi sono avvicinato per chiederne il motivo e un tenente mi ha affrontato con parolacce e manganellate. Hanno quindi caricato me ed altri cinque su un camion e ci hanno rinchiusi in carcere. Durante il tragitto su strade sterrate, il pestaggio e le manganellate mi hanno provocato la rottura di sei costole e la lesione di un polmone. Sto ancora attendendo l’esito della mia denuncia agli organi giudiziari… Il male più grande è che non esiste la giustizia. Tra i numerosi episodi di sangue che sono avvenuti in questa regione, basti pensare che quattro anni fa, durante un’azione di rivolta pacifica, diciannove senza terra sono stati barbaramente uccisi dalla polizia militare con raffiche di mitragliatrice”. Stiamo aspettando ancora oggi che sia fatta giustizia.
“Il fatto che nell’anno successivo, nella tornata elettorale municipale del 1992, il sindaco, figlio del deputato dello stato del Parà, non sia stato rieletto, vuol dire che quelle violenze sono servite a qualcosa ed hanno sensibilizzato l’opinione pubblica e quindi che il processo democratico sta incominciando a funzionare.
Inoltre, da anni si parla anche di riforma agraria, di distribuzione della terra, che purtroppo procede molto a rilento. Si pensi che su 5000 assegnatari, il 40%, cioè 2000 persone, abbandonano le terre assegnate e, deluse, vanno ad ingrossare le masse emarginate della città. Infatti, manca un’adeguata politica di sostegno a livello di infrastrutture pubbliche -strade, scuole, ospedali- e a livello dei supporti finanziario e culturale necessari per l’avvio e il consolidamento di nuove unità produttive. Anche se il numero di quelli che rimangono è piccolo, il saldo è positivo; tuttavia il processo di superamento del sottosviluppo e di maturazione della coscienza politica è molto, forse troppo lento. Praticamente inesistenti i ruoli economici e sociali che nelle terre italiane e venete hanno svolto le figure del mezzadro e del fittavolo ed ora del terzista ;ininfluente è quindi il ceto medio ed il suo ruolo economico e sociale.
Tale situazione è aggravata dalla corruzione che tocca tutti gli strati sociali e una buona parte del ceto politico e dalla cattiva amministrazione della giustizia:
Non è solo un problema di strutture economiche e politiche oppressive,ma è il problema del male che nasce nell’intimo dell’animo. Basterebbe che ogni uomo di buona volontà svolgesse con impegno ed onestà il proprio lavoro e il mondo andrebbe senz’altro meglio”.
“Ho colto l’occasione di venire in Italia nell’anno del giubileo, facendomi pellegrino. Penso che potremo rivederci, a Dio piacendo, tra cinque anni. Il Brasile sta diventando la mia seconda patria: tra breve avrò trascorso più tempo lì che in Italia.
In quel paese e soprattutto nella zona settentrionale del Distretto dell’Amazzonia sto realizzando la mia avventura umana e sacerdotale. Voglio bene al popolo brasiliano, il quale mi ricambia con stima ed affetto. Mi permetto ancora di sognare; visto che a Dueville vive ancora uno zio materno di novantanove anni. Ho fatto un patto con il buon Dio, chiedendo che mi permetta di lavorare in Brasile per il suo Regno finché mi darà le forze, spendendo per molti anni ancora le mie energie per questo popolo così bisognoso. Ho chiesto anche che alla fine della mia giornata terrena io possa riposare in mezzo a coloro che ho servito”.
Il contributo di Padre Bruno stimola ad una profonda riflessione interiore e impone un breve riferimento (azzardato forse) alla teologia della liberazione ,che è nata nell’America Latina .
Dalla lettura qualificata sull’argomento è possibile affermare che la teologia della liberazione ha certamente contribuito a lanciare un grido di allarme di fronte alle enormi situazioni di ingiustizia che segnano il cosiddetto “terzo mondo”.
Superato il momento dell’ambiguità e della suggestione di interpretazioni ideologiche,la sua attualità e la sua forza trova riscontro sia nel suo significato di liberazione integrale dal male morale (peccato) e dai mali fisico e sociali, sia come chiave di lettura della storia.
Dice il teologo Bruno Forte “ di fronte alla storia intesa in maniera illuministica come progresso, realizzato a prezzo dei vinti e degli sfruttati, sta il reverso de la historia, la memoria di secoli di oppressione, cancellata o ignorata, il presente di dolore, di lotta e di speranza dei deboli e degli emarginati, il loro sogno di un futuro diverso di liberazione.”(Dove va il Cristianesimo?,Brescia 2000,pag.24)
Il cristianesimo non lotta in via prioritaria per l’istituzione di un nuovo sistema politico e sociale, ma punta a salvare tutto l’uomo, punta al suo cuore, alla sua liberazione e valorizzazione integrale attraverso Gesù Cristo,vero uomo e vero Dio.
Se, ascoltando l’invito del papa, apriamo le porte del nostro cuore a Cristo,scatta un processo di militanza,di liberazione, purificazione e promozione, che realizza integralmente la nostra umanità,sia nella dimensione verticale- mistica che nella dimensione orizzontale-operativa .
Remo Realdon
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