I fermenti di un territorio sono molto spesso nascosti alla visibilità comune da molti altri ben più appariscenti segnali, che la comunicazione ufficiale fa propri ed amplifica al di là della sostanza sottesa, facendo perdere l’opportunità di apprezzarli appieno e di coglierne l’utilità.
Proprio per questo, alla scoperta delle potenzialità del Basso Veneto, si ritiene opportuno sviluppare una riflessione sulle risorse educative del territorio in un contesto formativo come l’Istituto Salesiano Manfredini, che negli ultimi 10 anni della sua storia ha riconvertito la propria attività in funzione delle esigenze dei ragazzi e della realtà educativa e produttiva del nostro comprensorio.
I dati parlano da soli: negli ultimi 7 anni, per opera in particolare del Professore Luigi Fumanelli, fondatore del Centro di Formazione Professionale (CFP), si sono iniziati e sviluppati percorsi formativi professionali nei settori dell’ elettronica e dell’impiantistica elettronica, della grafica, dell’automazione industriale, dell’informatica, del terziario avanzato e, non ultimo, della meccanica, per un’utenza che nell’anno in corso ha raggiunto la consistenza di circa 800 persone.
Un risultato più che lusinghiero, solo che si pensi che nel 1992 erano poco più di un centinaio: evidentemente la formula educativa, dalla pratica alla teoria, l’entusiasmo e la costanza dei formatori e del personale, la vincente collaborazione con le imprese e la crescente intesa con le scuole sono risultati ingredienti vincenti per far crescere insieme le risorse umane del territorio.
Ma quel che più preme a questo lievito e a chi ogni giorno lo attiva è dialogare con il mondo che lo circonda. Per questo si ritiene interessante proporre un confronto con gli altri agenti del cambiamento, dalla scuola pubblica alle aziende: un’occasione per riflettere su quali siano gli orizzonti formativi, economici e sociali del Basso Veneto e come lavorare insieme per migliorar/i.
Hanno partecipato al forum il professor Luigi Fumanelli, fondatore del CFP Manfredini, il Dott. Giampaolo Lupato, direttore del Centro, l’ingegnere Marinelli, insegnante tecnico dell’ ITIS Euganeo di Este, e il signor Arsenio Facciolo, imprenditore meccanico del territorio nonché Presidente mandamentale per Este dell’UPA.
Le loro riflessioni rappresentano interessanti strumenti per leggere il futuro che ci attende.
Fumanelli – Il ricordo di quanto successo sette anni or sono è vivo ancor oggi: il mio Ispettore Salesiano mi aveva incaricato di sondare il terreno a Padova per verificare la possibilità che il Manfredini potesse essere trasformato anche in un centro di formazione professionale. Le risposte dai rappresentanti delle Associazioni Artigianali e degli Industriali sono state decisamente negative; mi ha colpito la frase di un responsabile dell’Associazione degli industriali, che ha sede anche ad Este, che mi disse: se voi volete andare come missionari lo potete fare, ma credo che sia fatica sprecata.
È quanto ho trascritto nella relazione al mio Ispettore, in cui esponevo le motivazioni e conclusioni per un parere sostanzialmente negativo.
Senonché, l’insistenza dei locali ex allievi del Manfredini è stata così pressante che l’ispettore mi ha richiamato dopo alcuni mesi e mi ha invitato a recarmi ad Este: “senti, va a provare … “.
Sono quindi venuto ad Este dopo quarantotto anni, che non mettevo piede da queste parti; ho, infatti, fatto il noviziato presso il Manfredini nel’ 43-44 .
Arrivando da Verona sono rimasto subito colpito dallo spopolamento degli insediamenti produttivi. Una persona locale mi ha confermato nella mia prima impressione negativa, da questo punto di vista.
Pur tuttavia ho obbedito e sono rimasto.
Abbiamo cominciato in sordina e nel primo anno 1992-93 abbiamo costituito e svolto dei corsi per 118 giovani iscritti.
Oltre alle normali difficoltà che si incontrano inizialmente in ogni intrapresa, abbiamo constatato, da una parte, la sussistenza in queste zone di una diffusa povertà culturale soprattutto nei confronti del lavoro, povertà culturale che si radica storicamente in tempi non vicini, e d’altra parte, un atteggiamento tipico ad esempio di molti estensi, che avevano ed hanno “un po’ di puzza sotto il naso” nei confronti del lavoro, delle attività strettamente produttive, di cui sono tuttora carenti.
Ciononostante, la risposta è stata progressivamente positiva, per cui dagli iniziali 118 allievi, siamo passati agli attuali 800 allievi iscritti ai vari corsi di varia natura, lunghi e brevi, diurni e serali, in sede e fuori sede. La conferma che la situazione sia notevolmente modificata l’ho avuta dal Congresso degli Artigiani svolto si nell’ aprile scorso presso il Manfredini, dove ho avvertito uno spiccato spirito di iniziativa, un clima ricco di attese e speranze e un orientamento nettamente positivo nei confronti della formazione professionale. La consultazione attenta del bisogno formativo della zona, anche a mezzo delle organizzazioni di categoria, ha portato quest’anno anche alla costituzione dei corsi di formazione nel settore della meccanica.
L’avvicinamento anche istituzionale tra il comune di Este e il comune di Monselice, l’avvio del processo del cosiddetto “Patto Territoriale” , rappresentano ulteriori fattori di crescita della zona.
Restano, tuttavia, gravi le condizioni di depressione: carenti sono le infrastrutture (vedi superstrada), sussiste ancora una fragile capacità di aggregazione, anche politica, per cui la Bassa non è adeguatamente rappresentata a livello regionale e nazionale, e permane ancora una sottocultura del lavoro. Ne sono la riprova:
– la proposta che è emersa durante un convegno che si è svolto recentemente qui al Manfredini organizzato dalla CISL, a cui sono stati invitati i senatori, i deputati ed i responsabili politici della zona: veniva auspicato ed individuato lo sviluppo della zona solo nelle attività turistiche … Ah questa poi non l’ho mandata giù.
– Anche un assessore provinciale nella medesima occasione prefigurava la soluzione economica con la presenza nella zona di molti musei, grandi e/o piccoli in ogni paese, tali da attrarre chissà quale flusso di turisti, capace di risolvere, non si sa come, i problemi economici della Bassa.
Rimane lunga la strada da percorrere: noi abbiamo dato e diamo il ns. contributo al progressivo recupero delle autonome capacità di risposta non solo della Bassa Padovana, ma anche del Basso-Veneto (Bassa Padovana, rodigina, veronese e vicentina), alle domande e alle sfide dell’attuale momento storico.
Lupato – A conferma di quanto affermato dal fondatore prof. Fumanelli, ricordo che 5-6 anni or sono sembrava che nella zona non esistessero né la domanda, né l’offerta di formazione professionale.
La faticosa fase di partenza mirante a rompere l’inerzia iniziale sta dando positivi e in parte inaspettati risultati, per cui possiamo oggi affermare che, sia da parte delle piccole e medie imprese, sia da parte dei giovani, si cominci a coltivare in proposito delle precise aspettative. Entrambe le parti riconoscono il positivo ruolo degli stages come momento di contatto di lavoro ed anche dei percorsi formativi che via via ha svolto il nostro centro di formazione professionale.
Particolarmente interessanti e proficui sono stati i corsi nel settore della qualità e nel settore dell’organizzazione aziendale e, da ultimo, come già detto sopra, l’attuale corso di meccanica.
Marinelli – Ho iniziato la mia esperienza di insegnante di materie tecniche non appena iscritto al terzo anno di ingegneria e negli oltre trent’anni trascorsi, si sono verificati notevoli mutamenti interni ed esterni alla scuola. La società si è evoluta, è diventata socialmente più variegata, il benessere è diventato uno “status” comune e contemporaneamente, a mio avviso, sono profondamente mutati i valori di riferimento, e ciò ha avuto notevoli ripercussioni sulla funzione della scuola, segnatamente per quanto attiene la sua azione diretta ad armonizzare la crescita umana, culturale e professionale dei giovani che la frequentano. Negli ultimi tempi sembra poi che la scuola sia diventata una sorta di area di parcheggio.
Spesso i genitori tralasciano di interessarsi del processo educativo dei figli e questi, altrettanto spesso carenti di motivazioni, tardano a maturare. Sempre più frequentemente viene meno negli studenti il desiderio di imparare cose nuove, di provare la loro capacità di autonoma elaborazione delle nozioni apprese, di diventare autosufficienti sia sotto l’aspetto professionale, sia sotto quello strettamente umano. In questo contesto la preparazione è diventata sostanzialmente più superficiale, quasi solo nozionistica e, sempre più frequentemente, insufficiente per un pronto inserimento dei giovani diplomati nelle attività lavorative.
Questo deriva, a mio avviso, anche dal fatto che la scuola media inferiore, facilmente superabile da chicchessia, non garantisce l’ acquisizione di una solida istruzione di base, necessaria per una qualsiasi successiva formazione più specificatamente professionale, indispensabile se l’indirizzo di studio seguente ha finalità professionalizzanti.
Per quanto riguarda l’istruzione tecnica-industriale, mi sento di poter affermare che fino a circa dieci anni fa era possibile, seppure a livelli medio-bassi, coniugare il sapere e il saper fare. Ora questo non è più realizzabile: le basi culturali sono diventate sempre più fragili, anche perché spesso mancano macchine e attrezzature necessarie a trasmettere agli allievi capacità applicative e non solamente nozioni teoriche.
In questo contesto è di crescente importanza il ruolo di alcuni centri di formazione professionale, ai quali tocca il compito di fungere da cerniera tra la scuola e le realtà produttive.
Facciolo – L’esperienza diretta presso la mia azienda e l’esperienza di molti colleghi artigiani confermano quanto evidenziato dal prof. Marinelli: anche per una mansione prettamente manuale la scuola media non è più in grado di fornire elementi comuni di base perché un dipendente possa svolgere adeguatamente il proprio compito.
Pur restando nel settore artigiano, le continue innovazioni tecnologiche, i continui miglioramenti apportati dalle ricerche immettono sul mercato macchine sempre più sofisticate, per il cui utilizzo sono necessarie specifiche competenze professionali. C’è quindi bisogno di maggior cultura professionale, ma soprattutto c’è bisogno di persone che sappiano continuamente formarsi e informarsi, che sappiano crescere autonomamente, che sappiano elaborare autonomamente quanto acquisito.
Le persone che manifestano tali capacità fanno velocemente molta strada, emergono subito, anche se sono più giovani, e si fanno apprezzare sia dai colleghi di lavoro, sia presso la clientela. Per quanto riguarda il settore in cui più direttamente opero, cioè quello meccanico, sono certo che quando i corsi di meccanica saranno ultimati, gli allievi saranno certamente agevolati nel trovare lavoro proficuo. Tornando alla caratteristiche di depressione della nostra zona, insisto nel qualificarla come “fuori mano” rispetto alle zone economicamente più sviluppate, come ad esempio l’alto padovano e l’alto vicentino, con l’aggravante di una viabilità carente. Basti un esempio: quando occorre sostituire un ingranaggio speciale, la lavorazione si blocca perché il fornitore di solito si trova fuori zona e il trasferimento
del materiale avviene con ritardi che poi si traducono in maggiori costi. Bisogna, quindi impegnarsi per utilizzare al meglio le risorse umane anche anche per adeguare le infrastrutture.
Lupato – L’obiettivo fondamentale che intendiamo perseguire è quello di continuare ad insistere sulla cultura del lavoro che è tuttora carente. La formazione professionale è intesa come un formazione di serie C, o come l’ultimo ripiego per quei ragazzi che si sono accorti come il mondo del lavoro richieda persone preparate a tutte le mansioni professionali.
La nostra formazione è diretta:
– a quei ragazzi che intendono inserirsi immediatamente nel mondo del lavoro
– a coloro che hanno effettuato dei percorsi scolastici che sono rimasti teorici e come diceva prima il prof. Marinelli:
mancano proprio di quegli elementi pratici che servono proprio da ponte tra la scuola e il lavoro,
– a coloro che, pur essendo inseriti nel lavoro, hanno bisogno di un aggiornamento professionale.
FumanelIi – Ai bisogni formativi di questo territorio e del basso veneto il nostro intervento, come introdotto dal dr. Lupato, è articolato, nei seguenti tre livelli:
Primo livello – E diretto agli operatori con professionalità intelligente e quindi dotati di cultura professionale, che hanno bisogno di quelle conoscenze e di quelle competenze applicati ve necessarie per renderli operativamente autonomi.
A questi ragazzi più giovani sono dedicati i corsi diurni, a coloro che hanno diciotto anni in su, i corsi serali. Trattasi di persone dotate di intelligenza più operativa, più concrete, portate, cioè, al lavoro; trattasi non di intelligenze carenti, come nella scuola spesso sono giudicate, ma sono intelligenze diverse, portate più al concreto, a risolvere problemi immediati e di lavoro. Questo è il primo livello.
Secondo livello- Ha il ruolo di ponte, come abbiamo già detto, tra il diploma scolastico e il lavoro; si tratta di completare, orientare individuare il bagaglio di conoscenze dei ragazzi, in modo che siano più preparati ad inserirsi nel mondo del lavoro.
Terzo livello – Riguarda coloro che chiedono di ritornare dal lavoro, che chiedono aggiornamenti e/o sviluppi professionali per il loro lavoro. Sono corsi mirati, corsi normalmente brevi ma molto specifici e con obiettivi circoscritti.
E importante, ora, tenere i piedi per terra: l’azione che noi stiamo promuovendo nel territorio, e che abbiamo intenzione di allargare secondo le richieste e i bisogni, non può dare frutti immediati, ma darà frutti senz’altro nel tempo. Deve passare, senza esagerare, almeno una generazione. Ho acquisito in proposito un precisa esperienza a Venezia. Sono andato a creare un C.P.P., un Centro di Formazione Professionale sull’isola San Giorgio nell’ambito della Fondazione Cini, di fronte a San Marco; i ragazzi venivano dalla città, dall’estuario, dalle isole e anche dalla terraferma.
Ho reincontrato nel ’97, in occasione del quarantennale della qualifica, le persone che avevamo preparato e che noi stessi avevamo sparpagliato per il Veneto, per la Lombardia e per l’Emilia Romagna, dove il lavoro c’era; ritornati successivamente “in patria” avevano fondato delle iniziative industriali ed artigiane, che hanno portato linfa nuova nel territorio di origine.
Pensiamo che lo stesso si verificherebbe anche in questo territorio.
Ritornando ai nostri problemi della Bassa non dimentichiamoci che moltissimi genitori dei ragazzi di nostri corsi sono dei pendolari, vanno cioè a lavorare lontano da Este e perdono ore ed ore tra andata e ritorno, trascurando quindi la famiglia ed i figli, con conseguente grave danno per la salute delle famiglie e l’educazione dei figli.
Marinelli – Vorrei chiarire quanto ho affermato in precedenza a proposito della mancanza di attrezzature nella scuola. Le macchine presenti in scuola sono spesso obsolete, e questo trova logica spiegazione nell ‘impossibilità di adeguamento delle stesse alle veloci evoluzioni imposte dalle necessità operative. Per il superamento
delle difficoltà connesse alla conoscenza diretta delle realtà produttive, si rende necessaria una stretta collaborazione della scuola con l’industria e l’artigianato locale, ai quali è, secondo me, da chiedere di aprire i laboratori e gli uffici a corsi specialistici, anche se di breve durata, diretti ad avvicinare gli studenti ad un mondo che la scuola, da sola, non è in grado di far conoscere. Ma anche artigianato ed industria potrebbero beneficiare di quanto la scuola è in grado di fornire loro; esistono infatti laboratori dotati di attrezzature moderne, che, esaurita la loro attività didattica, possono essere utilizzate per fornire servizio alle realtà produttive locali. Mi riferisco in particolare al laboratorio tecnologico di cui è fornito I’ITIS “Euganeo”, in grado di fornire, se richiesto, prove distruttive e non distruttive sui metalli. Osservo che nessuna azienda ha mai fatto richieste di collaborazione di questo tipo, anche se le lavorazioni metalliche costituiscono un aspetto economicamente rilevante delle attività locali. Mi sento affermare che scuola e impresa si conoscono poco, anzi spesso si ignorano, forse volutamente. Chi produce è probabilmente rimasto nella convinzione che è importante “saper fare”, mentre il mercato chiede sempre più spesso di unire il “sapere” col “saper fare”.
Facciolo – Probabilmente c’è una carenza nel rapporto tra il mondo degli artigiani e la Scuola.
Molti artigiani della mia generazione ed anche di quella successiva, penso, non sono a conoscenza della possibilità di un proficuo rapporto anche operativo con la scuola.
Sono a conoscenza che a Padova alcune imprese non di piccole dimensioni si rivolgono a11’Università sempre di Padova; sarebbe quindi opportuno instaurare, anche da noi, un rapporto per utilizzare quanto può offrire la Scuola locale.
Perché questo non succede?
Perché probabilmente la Scuola non si è mai fatta portavoce e carico di illustrare presso le imprese artigiane le prestazioni che era in grado di offrire e d’altro canto l’artigiano, in genere, è pressato dall’urgenza di ricavare un utile immediato ad ogni fine giornata. Semmai cerca di utilizzare le conoscenze e le informazioni che riesce ad ottenere dai tecnici rappresentanti che arrivano in ditta; in generale, manca loro il tempo per investire in conoscenza.
In buona sostanza, sembra proprio che la Scuola sia una realtà e il mondo del lavoro un’altra. Se vogliamo restare sul mercato è necessario cercare di seguire il vertiginoso sviluppo del progresso tecnologico, collaborando con la scuola e le istituzioni di ricerca e di formazione.
Non so chi debba fare il primo passo, se gli artigiani debbano rivolgersi alla scuola o la Scuola offrire la propria disponibilità.
Una cosa è certa: questo primo passo deve essere assoluta mente fatto.
Lupato – Noi siamo un Centro di formazione Professionale salesiano; per noi i ragazzi vengono al primo posto; cerchiamo di operare con loro, farli crescere preparandoli ad inserirsi all’ interno del mondo del lavoro. Potenzialità ne hanno moltissime i giovani, come tutti i giovani.
Non è vero che i giovani di oggi siano migliori o peggiori di quelli di ieri. I giovani di oggi sono figli del loro
tempo. Trovano un ambiente difficile, vengono e provengono da famiglie dove i genitori lavorano entrambi, magari lontano da casa. Alla sera è difficile parlarsi, vuoi per la stanchezza, vuoi per l’onnipresenza della televisione che soffoca il dialogo.
Bisogna trovare le modalità più appropriate per dare fiducia ai giovani, perché tante volte sono sfiduciati e nemmeno se ne rendono conto. Un po’ alla volta, attraverso la formazione, imparando un lavoro riscoprono se stessi. Ho quindi fiducia e, da questo punto di vista, sono decisamente ottimista: i giovani possono veramente fare, essere il nostro futuro.
Fumanelli – I segnali di partenza sono poveri: sia sul piano educativo, sia su quello culturale, nel senso più ampio, non solo di conoscenze professionali.
Più precisamente la società e quindi la scuola, che fa parte della struttura sociale, ha un compito di carattere istruttivo, ma oggi, molto più di ieri, anche un compito di carattere educativo.
I giovani non ricevano dalla famiglia quello che dovrebbero. E l’ambiente, la televisione, gli spettacoli che non sono molto di aiuto, che anzi li portano fuori strada. Finisce, quindi, che la scuola assume di fatto un ruolo di supplenza anche educativa.
Ho assistito a dibattiti a non finire: se la scuola deve educare e/o deve istruire. Siamo arrivati ad un punto che qualcuno deve pure interessarsi della formazione anche umana di questi ragazzi: se non la si fa da una parte, ci sarà un’altra struttura che in qualche modo deve supplire socialmente.
I giovani hanno bisogno di gente che voglia loro bene; bene concreto, costruttivo, di indirizzo, di orientamento, di struttura per la vita.
Ho 74 anni e sto in mezzo a loro da mattina a sera; se ti vedano in mezzo a loro sempre disponibile, l’età non fa differenza; fa differenza la persona di riferimento.
Dai mille contatti formali ed informali capisci cosa ci sta dietro a ciascuno, che bisogni hanno, quali vuoti, quali sofferenze portano con sé.
Prima di costruire un percorso professionale, è perciò necessario capire se, sotto il punto di vista strettamente umano, sussiste l’interesse, la disponibilità ad assumersi l’impegno, il sacrificio del percorso formativo.
Il fatto di amare lo studio, di coltivare un interesse a crearsi un futuro, per darsi da fare già nella scuola, per ricercare un’ autonomia professionale ed umana, di cui già ha parlato il prof. Marinelli rappresentano gli elementi costitutivi, la base per un proficua e seria preparazione professionale.
Se manca questo interesse, questa disponibilità vengono fuori dalla scuola con pezzo di carta, senza costrutto, senza frutto.
Trattasi di problemi molto gravi, che, come diceva don Bosco, stanno nel mezzo, nel mezzo della vita stessa.
Marinelli – La Scuola sta attraversando, secondo me, un periodo di profondo travaglio, perché su di essa sono fatti gravare compiti non suoi propri. La scuola dovrebbe sostituirsi di fatto alla famiglia, In quel processo di formazione umana caratteristico, fino a qualche tempo fa, dell’ istituto famigliare.
L’avvento della televisione ha innescato un processo di appiattimento generalizzato dei valori, che interessa tutti i giovani, qualsiasi sia il ceto sociale di appartenenza.
In questo contesto viene spesso chiesto alla scuola di svolgere le funzioni educative della famiglia. A esercitare questo
compito, secondo me, la Scuola è impreparata, perché in essa convivono anime profondamente diverse, per età, per cultura, per valori di riferimento. Resta, forse, l’esempio individuale, lo sforzo di qualche insegnante nel dare continua prova di disponibilità, attento alle richieste dei ragazzi, disponibile a costruir per loro un riferimento.
Facciolo – Convengo con quanto affermato da Fumanelli e Marinelli. Il problema della formazione umana dei ragazzi esiste.
Credo che un grossa parte di responsabilità ricada sulla famiglia e su noi genitori, che, come tali, o siamo sostanzialmente assenti, oppure, di fatto copriamo in ogni caso i difetti e le carenze dei figli; e ciò sia a scuola nei confronti degli insegnanti e sia nell’azienda. E quanto, anch’io ho sperimentato attraverso mia moglie insegnante e, direttamente, come imprenditore. Una volta, quando andavo io a scuola i comportamenti erano diversi.
L’impatto dei giovani con il mondo del lavoro è aggravato dal fatto che forse è la scuola ad illudere il ragazzo, che alla fine del ciclo degli studi, con il perseguimento del “pezzo di carta”, crede di essere a posto e di poter ottenere subito un posto di lavoro.
Lupato – Può essere utile solamente se c’è la possibilità di attivare un doppio canale.
A fianco dell’ innalzamento scolastico (che è anche doveroso) deve esserci però l’obbligo della formazione professionale.
I Salesiani da sempre sono favorevoli al doppio canale e quindi dell’ assolvimento dell’ obbligo scolastico anche nella formazione. Ciò perché sono molti i giovani che hanno desiderio di imparare un lavoro e il lavoro sta cambiando: c’è bisogno di formazione e di conoscenze tecniche e anche pratiche.
Noi riteniamo necessaria la realizzazione del doppio canale, perché la Scuola non venga impoverita di contenuti, perché l’anno o due in più di frequenza non sia solo un obbligo e per non ritrovarsi alla fin fine con il solito problema: dalla Scuola escono non più periti o tecnici ma persone con un “foglio di carta”.
Fumanelli – È un grande pasticcio quello che si sta mettendo in piedi. Ed è demagogica la soluzione, perché, chiaramente, non risolve il problema.
Mettere assieme ragazzi che non vogliono studiare con ragazzi che ne hanno voglia è come avere la pretesa: nel caso, di considerare positivo che un “alto” e un “basso” facciano un “pareggio”. È fuori discussione: non si è voluto, come esiste in tutte le nazioni europee, differenziare.
Una demagogia, lo devo dire, di sinistra. Tutti uguali, tutti devono fare le stesse cose. La natura non ci ha fatto tutti
uguali. La Scuola deve applicare metodi diversi: mentre nello “studio” va bene il deduttivo, nei centri di formazione professionale si trova a proprio agio l’induttivo.
Sono tutti intelligenti ma l’induttivo sa toccare con mano, è pratico. Portarlo a fare un percorso con metodo sbagliato
significa creare uno spostato.
Sono d’accordo con l’innalzamento formativo a 18 anni, ma non uguale per tutti, bensì con canali diversi, come esiste in altre Nazioni soprattutto nel Nord Europa, dove succede addirittura che prima di accedere all’Università per frequentare un qualsivoglia corso tecnico è necessario fare pratica presso un’azienda. Ci deve essere un sistema più aperto e interconnesso altrimenti con la rigidità con cui siamo andati avanti finora non costruiamo personaggi per un domani migliore. Negli Istituti Professionali viene svolta solo in parte la pratica. Si privilegia la teoria, contravvenendo così alla finalità stessa dell’Istituto Professionale che è stato istituito per portare alla qualifica professionale.
In tal modo i giovani si lusingano, si illudono di possedere un titolo di studio e quando vanno a lavorare, nella maggior parte, si ritrovano frustrati e senza abilità.
Tutto ciò perché da un canto la Scuola dice loro: voi siete dei tecnici, dall’altro le famiglie ci credono e loro si autoconvincono e così quando dovranno inserirsi in un lavoro manuale non si sentiranno al loro posto.
Non è possibile, come è successo di recente, che in un esame di seconda qualificazione professionalizzante, prima della maturità, una prova pratica venga sostituita con un esame teorico con la motivazione che trattasi di “tecnici”.
Cascano le braccia! E pensare che sono i ragazzi a desiderare l’esame pratico e non viene data loro l’occasione: c’è una confusione, insomma, nell ‘insieme, nell’impostazione.
Non mi soffermo poi, più di tanto, sul pubblico e sul privato: sono botteghe, ognuno tira l’acqua di qua, tira l’acqua di là. E una situazione anacronistica. E con la collaborazione di tutti che salviamo la situazione non con la contrapposizione, come avviene oggi, allorquando si personalizzano i problemi; non li si rende oggettivi per il bene comune.
Marinelli – Non posso non condividere quanto fin qui detto. Come tanti, lamento che la riforma della scuola dell’obbligo procede a rilento, con modifiche che, almeno all’apparenza, hanno tutto l’aspetto della casualità.
L’elevamento dell’obbligo scolastico passa da due anni a uno nel giro di un baleno, sulla base di quali motivazioni?
Si riforma l’esame di maturità, nel tentativo di renderlo più credibile, senza modificare i programmi della scuola media superiore. Ormai è indispensabile arrivare ad una profonda modificazione della scuola, ma tutto dovrebbe essere inserito in un quadro armonico di riforme strutturali.
Si prova un certo disagio nel verificare la scomparsa dei centri di formazione professionale e la spersonalizzazione degli istituti professionali. Fino a qualche anno fa il panorama delle istituzioni scolastiche era in grado di garantire un processo di formazione adeguato a qualsiasi giovane, sulla base delle sue attitudini, delle sue capacità. L’imperativo sembra ora quello che tutti devono conseguire un diploma di scuola media superiore. Ne deriva un appiattimento verso il basso del processo di formazione di ogni scuola, di qualsiasi indirizzo, con conseguente svilimento delle attività di insegnamento, in particolare di quello delle materie professionalizzanti.
Vorrei che la scuola fornisse strumenti di arricchimento personale a tutti i giovani, adeguandoli però alle caratteristiche dei giovani stessi. Per un fattore puramente statistico, si può affermare che gli uomini sono mediamente tutti uguali, ma poi bisogna porre particolare attenzione a quel “mediamente” e ricordare che la saggezza contadina dei nostri vecchi, un “alto e un basso fa un gualivo”: Ora, secondo me, servono sia gli alti che i bassi, ma mi sento di affermare, che una società appiattita verso il basso non può trovare in sé le forze necessarie alla sua continua evoluzione.
Facciolo – Sono del parere che la scuola dovrebbe indirizzare il ragazzo a seconda delle sue capacità, delle sue
potenzialità.
Non si può far prendere la laurea ad un giovane solo perché lo vogliono o lo possono economicamente i genitori. Ogni ragazzo dovrebbe essere indirizzato secondo le sue attitudini, non dai genitori ma dalla scuola stessa che deve avere gli strumenti, le capacità per farlo.
Lupato – Un aspetto importante potrebbe essere quello dell’inserimento degli stages che sono un ponte tra la formazione, o anche la scuola, e le aziende. Dare modo cioè ai ragazzi, con questo periodo passato in azienda, di partire dalla “gavetta”, qualsiasi sia il loro percorso formativo e avvicinarsi così al lavoro. Le associazioni di categoria e anche le istituzioni locali evidenziano la necessità di una maggiore cultura del lavoro.
Localmente, per tradizione, abbiamo la seguente suddivisione del percorso scolastico: il ragazzo che ha fatto il liceo classico o scientifico ha frequentato una scuola di serie A, se ha frequentato invece l’istituto tecnico, commerciale, meccanico o elettro tecnico una scuola di serie B. In serie C sono relegate addirittura le professionali, peggio ancora se ha frequentato i corsi di formazione professionale.
E sbagliato! Si deve riabilitare la cultura del lavoro, la cultura della manualità, anche da parte delle istituzioni, degli enti locali. Il titolo di studio non fa la persona.
Un esperto della formazione professionale che ha lavorato tutta la vita in questo settore e che ora opera con una Fondazione in Provincia di Vicenza mi diceva: “purtroppo sono le madri che tante volte orientano male i figli”. Anche perché i padri invitano spesso i figli a lavorare nella propria bottega, nella propria azienda.
Ma c’è l’altro aspetto: i figli non devono fare la fatica che abbiamo fatto noi … , non devono sporcarsi le mani… Quando saranno superate queste convinzioni si sarà fatto un grosso passo in avanti.
Fumanelli – Il figlio è uno status-symbol! Come la macchina … che macchina ho … , dove vado a fare le ferie … , come la villa, la seconda casa … , anche il figlio … Che si trascorrano la ferie qui o là non interessa nulla … ma la persona no … non la si può rovinare.
E allora noi cosa faremo? Cosa ci imponiamo di fare come struttura formativa? Attueremo l’apertura massima. L’apertura ai bisogni del territorio innanzitutto, ma anche la collaborazione con tutte le strutture formati ve del territorio: scuole, centri professionali, aziende perché anche queste ultime sono strutture di formazione. E ciò attraverso i contratti di formazione al lavoro, che ora stanno andando in disuso, attraverso l’apprendistato, che dovrebbe sempre più prendere piede, applicato con le caratteristiche di una volta e cioè con l’obbligo della frequenza scolastica. Così come esiste in Germania, ovunque con l’applicazione del sistema duale.
Ma attenzione! L’azienda deve mettere a disposizione, nel caso, una persona preparata a fianco dell’apprendista, in caso contrario non potranno essere presenti in quell’azienda.
Inoltre la stessa dovrà collaborare con il centro professionale anche concordando gli orari di utilizzo.
Ed è per questo che nella nostra organizzazione abbiamo configurato un nuovo organismo, non retribuito. La Regione prevede nella nostra struttura la figura del direttore, la segreteria, gli insegnanti … per ogni centro, per ogni corso. Noi abbiamo istituito, a latere, un organismo per i contatti sistematici con l’esterno, con le varie amministrazioni.
Abbiamo già realizzato un aspetto importante della gestione autonoma:
– accendiamo i contatti con le aziende, con le associazioni di categoria, con chiunque può segnalare il bisogno.
– attiviamo gli stages e al termine curiamo il collocamento delle persone.
– attiviamo corsi per “i bisogni di ritorno” al nostro centro di formazione per quanti hanno necessità di sviluppare o aggiornare la propria professionalità.
Marinelli – Penso che il futuro dovrà essere gestito dai giovani di oggi e per metterli in condizione di be operare, nel futuro che li attende, è necessario che tutte le istituzioni orientate alla loro formazione uniscano le loro forze e armonizzino i loro obiettivi.
Non è facile superare rivalità assurde anche tra scuole. In questi giorni è possibile leggere l’intervista di un amministratore locale, che mena vanto per aver conservato ad Este un certo numero di presidenze. E sicuramente un fatto importante. Lamento però il fatto che questo sia il solo interesse mostrato dalla stampa nei confronti della scuola: nessun cenno compare mai sui livelli di preparazione che questa o quella scuola sono in grado di fornire, né sul grado di appetibilità che quel titolo di studio incontra nella vita economica locale. C’è un profondo disinteresse per il mondo della scuola, anche da parte dei rappresentanti delle categorie produttive.
Artigiani e industriali dimenticano, o ne fanno finta, che per le loro attività dovranno attingere anche dai giovani studenti d’oggi, il cui processo formativo dovrebbe costituire un investimento almeno di attenzioni, se non di beni materiali, nei confronti della vita scolastica.
Con l’avvento dell’autonomia, una stretta collaborazione tra scuola e aziende, nell’ambito territoriale su cui gravitano, può permettere l’adeguamento dei programmi scolastici di alcune discipline alle specifiche necessità di sviluppo di particolari attività produttive, anche estremamente moderne.
Credo che allora si potrà iniziare un processo di avvicinamento alle reciproche posizioni e convinzioni, creando le premesse per una reciproca integrazione di funzioni?
Ricordo ancora che il laboratorio tecnologico dell ‘ITIS potrebbe essere posto al servizio delle aziende per l’esecuzione di prove, tecnologiche, anche sofisticate.
Facciolo: Come avviene l’accesso? La scuola è disponibile? Non lo sapevamo! C’è comunque una barriera ..
Fumanelli – Quante volte il Presidente dell’ A .P.I. di Vicenza ha tentato di collaborare con il Leonardo da Vinci di Noventa Vicentina. Ha desistito. Non ce l’ha fatta.
Marinelli – Credo che il problema vada visto anche nell’ ottica dell’ autonomia scolastica, in nome della quale sarà possibile superare l’attuale normativa, di stampo ottocenteso, che regolamenta le prestazioni dei laboratori per conto terzi e i compensi per gli operatori! Alcune scuole sembra abbiano superato questo problema facendo forse ricorso al buon senso e alla disponibilità di qualcuno.
Fumanelli – I problemi sono stati superati perché avranno trovato le persone giuste.
Con l’autonomia in sé e per sé non si risolve nulla se non vi sono le persone giuste.
Facciolo – Il rapporto tra aziende, mondo del lavoro e scuola può essere l’arma vincente per lo sviluppo del nostro territorio. Solo ora vengo a conoscenza della possibilità di effettuare prove x-grafiche sui metalli.
Come associazione siamo ben lieti dell’operato del Manfredini attraverso i C.F.P.V. e, da ultimo, l’attivazione del corso di meccanica, specializzazione carente nel nostro territorio, però il dialogo deve essere esteso ad ogni tipo di scuola e tra le singole scuole.
Lupato – Abbiamo presentato quattro progetti al Fondo Sociale Europeo rivolti a dipendenti di medie e piccole imprese. Due ci sono stati approvati: uno relativo alla grafica, un altro nel settore elettronico di automazione industriale. Non ci sono stati approvati gli altri due, uno sull’organizzazione aziendale e l’altro sull’organizzazione della logistica della piccola e media impresa. Ci stiamo attivando anche per il recupero di questi ultimi due. Quanto sopra per significare che la nostra ottica è quella di assicurare un servizio continuo all’impresa, sensibilizzare i nostri allievi, anche i più giovani, di prima qualifica, ad essere imprenditori di se stessi, amare il proprio lavoro anche se dipendenti. Attualmente percorriamo la strada degli stages che è quella di portare i ragazzi di qualifica e di specializzazione in azienda, per tre settimane, dal 12 al 30 aprile.
Fumanelli – Un giornale in merito alle problematiche del nostro territorio affermava: ” … non abbiamo santi, santi intercessori in Paradiso … “.
La Bassa non è rappresentata, anche in Regione non abbiamo nessuno.
Tutto ciò perché nel nostro territorio c’è una divisione campanilistica da far paura!
La viabilità, i rifiuti … ecc, ogni sforzo viene vanificato per la mancanza di unità.
Marinelli – L’unica speranza, a parer mio, è che intervenga una autorità sovracomunale per creare i presupposti di un’unità territoriale.
In caso contrario continueranno le assurde divisioni territoriali, legate a criteri antichi, privando il territorio di tutte le prerogative per sviluppare qualsiasi tipo di attività, qualsiasi tipo di interesse economico.
Facciolo – Ho la sensazione che esista qualcosa al di sopra … una volontà politica per far sì che la nostra zona resti sempre “Bassa” Padovana.
Romito – Ringrazio tutti, perché, se c’è un ‘utilità nel trovarsi, nel parlarsi, è quella di aver modo di conoscere le realtà diverse.
Il sig. Facciolo ad esempio, è venuto a conoscenza che presso l’Istituto Tecnico esistono delle apparecchiature che possono effettuare delle prestazioni utili alla sua attività. Il passo successivo sarà quello di accendere un contatto, di trovare le persone disponibili.
Tutto ciò per me è importante perchè un momento di riflessione va fatto sempre e comunque: il parlarsi, la comunicazione, la conoscenza crea la collaborazione e con essa lo sviluppo.
Quanto emerso dà l’idea della complessità del nostro tutto sommato piccolo mondo, dell’importanza dei percorsi formativi all’interno delle dinamiche economiche e sociali, della necessità del dialogo per costruire integrazione
e sinergie nel territorio.
Per far nascere e crescere attività produttiva, miglioramento economico e qualità della vita occorre lavorare per creare un sistema integrato, che offra soluzioni condivise e modelli attuabili, dove le singole risorse possano esprimersi al meglio. Vi do appuntamento a giugno quando organizzeremo non più la fiera della Scuola, perché le fiere possono creare divisioni, ma un momento di discussione sulla formazione dei ragazzi, a 360 gradi.
NUMERI PUBBLICATI
Numeri Speciali
RUZANTE E DINTORNI