Giovanni Paolo II, nella “Centesimus Annus”, ha dato la definizione corretta del capitalismo. È quella che Don Sturzo ha sempre sostenuto, da moderno liberista qual era. Ma gli “Amici della sinistra Dc” …
In un articolo del 4 novembre 19511, Don Sturzo affermava con convinzione: “Più volte mi è stato rilevato che sostenere, come faccio io, la libertà economica in un mondo impigliato nel dirigismo, dà l’impressione di chi non si accorge dei cambiamenti (altri dice del progresso) avvenuto da 50 anni ad oggi nella struttura sociale. Di recente un mio illustre contraddittore (e personalmente amico) mi definiva un ‘manchesteriano’ di un secolo fa, al che io replicavo
definendomi ‘un liberista fuori stagione’ .2
Eppure, mai come oggi ho sentito così pressante la necessità di una difesa della libertà economica nel vedere come il preteso dirigismo statale si trasformi in interventismo, sia in forma diretta sia a mezzo di mille e più enti statali, parastatali, criptostatali, pseudostatali, che si sono infiltrati nell’economia del nostro Paese.
Non sono il solo a sentire la necessità di tale difesa, perché i ceti economici, quelli che impiegano attività e capitali in imprese sane, pur credendo impossibile far macchina indietro, vorrebbero un cambiamento di rotta. Siamo in pochi oggi a difendere la libertà economica, con sincerità di intenti e senza interessi particolari da tutelare; parecchi altri, pur insistendo per un maggiore rispetto per l’iniziativa privata invocano anch’essi – quando loro giova – l’intervento dello Stato”.
Questa appassionata difesa dell’ iniziativa privata, la dura critica dell’intervento statale e il convinto schierarsi di Don Sturzo fra i liberisti continua a “scandalizzare” tanti autorevoli personaggi del centro-sinistra di ieri e di oggi. Personaggi che vorrebbero invece vedere schierato nella loro “squadra” il grande sacerdote di Caltagirone, soprattutto oggi che le sue profezie si sono avverate e che il suo pensiero e tornato di grande attualità. Ma il pensiero sturziano non si coniuga con chi e privo di convinzioni e quindi di comportamenti veramente liberali. Eppure Don Sturzo non ha mai parlato in maniera equivoca.. Il suo pensiero è sempre stato di una chiarezza cristallina. Il 31 ottobre 1957 egli scriveva sul Giornale d’Italia (“Capitalismo e monopoli di Stato “):
“Amici della sinistra Dc la verità è che voi mi accusate di difendere i monopolisti privati, solo perchè difendo l’iniziativa privata; mi accusate di non curare il benessere dei lavoratori solo perché io lo concepisco legato ad una economia sana e perché reputo i monopoli e le imprese statali essere basati su di un’economia falsa e bacata; mi accusate di non comprendere le istanze presenti e di essere fermo al passato solo perchè lotto contro la politica di classe e contro il socialismo di Stato.
Ditelo chiaro se è così; sarà meglio per me e per tutti”.
Don Sturzo è sempre stato di una grande coerenza. Le sue dure battaglie contro lo Stato liberale di Giolitti, contro il fascismo e contro il comunismo hanno una matrice comune: il suo convinto antistatalismo.
In effetti, illiberalismo di Giolitti era poco liberale e molto statalista, ossia accentratore, anche se non poteva paragonarsi al totalitarismo di un Mussolini o di un Lenin, “figli” di Hegel, Fichte e Marx (”Fu ben detto che il bolscevismo era un fascismo di sinistra e che il fascismo era un bolscevismo di destra” scrisse Sturzo). Molte, troppe pagine del fondatore del PPI sono state riposte in soffitta ma è arrivato il momento di tirarle fuori, perché contengono insegnamenti, che sono parte integrante della Dottrina Sociale della Chiesa (la difesa sturziana dell’iniziativa privata e della libertà economica dal pensiero di Leone XIII). A qualcuno, forse, fa comodo ignorarle, ma noi sacerdoti – che abbiamo il dovere di insegnare tutta la Dottrina Sociale Cristiana e non parte di essa, cadendo nella faziosità politica – non possiamo tenerle in soffitta.
Come ha sempre fatto Don Sturzo molte Encicliche sociali condannano il comunismo e il socialismo (“Quod Apostolici Muneris”, “Rerum Novarum”, “Quadragesimo Anno”, “Divini Redemptorìs,” “Materer Magìstra”, “Pacem in terris”, “Populorum Progressio”, “Laborem Exercens”, “Centesimus Annus”), ma condannano anche il liberalismo senza regole che non mira al bene comune. Vi è tuttavia una importante differenza che fa capire come Don Sturzo abbia avuto la … audacia di definirsi un “lìberìsta fuori stagione”. Mentre è detto chiaramente che la Dottrina Sociale della Chiesa “diverge radicalmente dal programma del collettivismo, proclamato dal marxismo e realizzato in vari paesi” (“Laborem Exercens” N°. 14), nei confronti del hberalismo non si usano termini che chiudono ogni possibilità di dialogo.
Infatti, nello stesso N°. 14 della “Laborem Exercens”, si afferma che l’insegnamento sociale della Chiesa “differisce dal programma del capitalismo praticato dal liberalismo e dai sistemi politici che ad esso si richiamano”.
Quindi nei confronti del marxismo la Dottrina Sociale della Chiesa “diverge radicalmente”, mentre nei confronti del liberalismo “differisce”. Ne consegue che il sistema liberale va corretto, non rifiutato.
Esso porta con sé un grande messaggio, quello delle libertà formali e dello Stato di diritto. È un sistema che esige grande senso di responsabilità nell’esercizio dell’iniziativa privata, perchè questa non è mai disgiunta dal rischio (di fallire o di non perseguire il bene comune).
Ma a questo punto se tra i lettori, anche molto vicini alla Chiesa, vi fosse un po’ di scetticismo sul pensiero sturziano, che invece è in piena sintonia con la Dottrina Sociale della Chiesa, riporto un brano molto importante della “Centesimus Annus”. Alla domanda se “dopo il fallimento del comunismo il sistema sociale vincente sia il capitalismo” Giovanni Paolo II afferma: “La risposta è ovviamente complessa. Se con ‘capitalismo’ si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di ‘economia d’impresa , o semplicemente di ‘economia libera’.
Ma se con ‘capitalismo’ si intende un sistema in cui la libertà del settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà il cui centro e, etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa” (” Centesimus Annus” N°. 25).
La Chiesa, dunque, “riconosce la positività del mercato e dell’impresa ma indica nello stesso tempo, la necessità che questi siano orientati verso il bene comune” (“Centesimus Annus” N°. 42).
D’altra parte, quale ricchezza si può distribuire se non la si riesce a produrre in buona quantità? Certamente non può essere lo Stato, a produrla, perché non è compito suo. E compito del libero mercato, regolato dallo Stato, mercato che fonda la sua libertà sulla creatività, sul senso di responsabilità, sulla capacità d’impresa e sulla capacità di rischio dell’individuo. Ignorare la Dottrina Sociale della Chiesa, per un credente che intende prestare il suo servizio alla società come politico, è un errore grave, perché rischia di lasciarsi trascinare in subdoli progetti politici, per niente cristiani, e in sistemi politici che minano, in maniera celata, i valori fondamentali della fede: la vita la famiglia, l’istruzione religiosa, la scuola libera, la libertà. Il rischio che oggi si corre e grave, perché ci si può lasciare ammaliare da schieramenti politici che vantano di portare la bandiera della solidarietà sociale, ma poi nella realtà ancora oggi, a soffrire e a pagare sono i poveri, gli operai, i pensionati, i giovani …
E’ arrivato il momento di fare uscire dalle biblioteche le Encicliche sociali della Chiesa, per dare ai giovani una conoscenza giusta, completa e libera non faziosa, della Dottrina Sociale Cristiana.
Sono cadute le ideologie, ma credo che, purtroppo, siano caduti anche gli ideali. Non è tempo di sincretismi, è invece arrivato il tempo in cui occorre promuovere la buona cultura, quella fondata sulla verità evangelica, per il bene della gente e soprattutto dei ceti deboli.
E vano il tentativo per “un impossibile compromesso tra marxismo (e derivati?, aggiungo io) e cristianesimo” (“Centestmus Annus” N°. 26). Occorre avere invece le idee chiare e proporsi alla gente con ideali altrettanto chiari, altrimenti resteremo impigliati nell’ attuale confusione del calderone politico italiano.
E soprattutto la “vecchia guardia” della prima repubblica ad avere paura del responsabile liberismo di Don Sturzo, perchè per attuarlo dovrebbe prima ammettere che i “mali passi” (l’apertura a sinistra e il consociativismo) furono un grave errore, come denunciato in decine di articoli e di interventi al Senato dal profetico sacerdote di Caltagirone. Non si può passare alla seconda repubblica con una classe politica ancora dominata dagli “erranti” del passato.
Padre Santo Cammisuli
I Luigi Sturzo: “Libertà economica e interventismo statale” in “Politica di questi anni”, pago 96, 0pera Omnia VoI. XII, Zanichelli Ed., a cura dell’istituto Luigi Sturzo.
2 Si tratta del Prof. Ernesto Rossi. L’accusa di “manchesteriano” si riferisce agli economisti liberali della scuola di Manchester del 19° secolo.
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