Prefazione al libro di Michael Novak sulla funzione sociale degli imprenditori.
Il noto economista cattolico si batte da anni in difesa e promozione dell’uso responsabile dei “talenti”.
Questo è un libro in lode del buon imprenditore, ma soprattutto del buon uso della ricchezza, virtù che per molti è più difficile possedere rispetto alla capacità di diventare ricchi. È forse per questo che nel Vangelo è scritta una maledizione terribile, ma davvero profetica se vista alla luce degli ultimi 2000 anni: “È più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago …”.
Penso che il peccato di un ricco non sia quello di essere ricco o di essere diventato ricco, ma di non usare bene il patrimonio ereditato o da lui creato. Ha raggiunto il suo obiettivo, quello di stare finanziariamente bene, ma poi non sa utilizzare bene questo “stato di grazia terrena”. Una grazia che per molti si trasforma in disgrazia morale e spirituale, che poi può anche miseramente finire in disgrazia finanziaria.
D’altronde, se nel mondo vi è ancora tanta sofferenza e ingiustizia sociale, lo si deve in gran parte all’uso non produttivo – inteso come non rivolto al bene comune – di tante ricchezze accumulate non solo dagli imprenditori
e dagli uomini di successo, ma anche dalla classe politica. Anzi, per gli uomini politici ricchi la condanna dovrebbe essere maggiore, perché spesso la loro ricchezza non deriva dal servire la società ma dal servirsi della società e delle società, alcune persino quotate in Borsa. Il concetto che la corruzione è causa di povertà, o che per lo meno è di ostacolo ad un sano e diffuso sviluppo economico-sociale, non è ancora calato in tante coscienze.
Purtroppo non è calato anche in tante coscienze cristiane, che pur ammonite dal “grido” di Don Luigi Sturzo in difesa della moralizzazione della vita pubblica e delle virtù dell’economia di mercato, hanno partecipato in Italia al saccheggio partitocratico e statalista degli ultimi 50 anni. È stato un saccheggio favorito da una cultura contraria al sano sviluppo dell’impresa in cui tanto crede, giustamente, Michael Novak.
Egli giunge a credere nell’impresa privata (e quindi nell’imprenditore privato) attraverso la sua convinta fede in Dio. E questo libro, dal significativo titolo “L’impresa come vocazione”, è un libro di grande utilità per il mondo politico ed economico italiano, avvelenato per decenni da una “giurassica” cultura di sinistra, quella cultura “liberal” (ironia del nome inglese per noi italiani) che l’Autore critica in tanti passi di questo libro.
Noi tutti siamo chiamati da Dio ad essere partecipi della Sua opera di creazione.
Creati da Lui per creare. E il miglior modo per farlo – secondo Novak – è attraverso l’impresa privata e il capitalismo, un sistema che è ancora molto lontano dall’essere perfetto. Ma la storia ci dimostra che è perfetti bile e che -soprattutto – è un sistema migliore di tutte le sue alternative.
Il libro di Novak ci dice che quanto più la vocazione per l’impresa sarà presa seriamente da un numero crescente di collaboratori (spesso inconsapevoli) di Dio, tanto più la co-creazione porterà buoni risultati per tutti. Una creazione divisa e condivisa, anziché una creazione concentrata ed egoista.
È un libro profondamente morale, perché prima dell’economia pone la politica e prima della politica pone le virtù morali dei protagonisti della politica e dell’economia. Persino il gravissimo problema dell’ecologia ambientale è giustamente visto da Novak come un problema di verità-chiave: la vera ricchezza di una società dipende dalla sua ricchezza morale.
Questa è una dote che può ottenere solo attraverso la buona cultura, che è quindi essenziale anche per diffondere nel mondo centinaia di milioni di buoni imprenditori.
La loro responsabilità morale – insieme a quella degli uomini politici – è pertanto determinante per co-creare bene e per combattere efficacemente contro la povertà. “L’impresa come vocazione”, insieme ai numerosi altri libri scritti da Michael Novak, contribuisce molto a fare buona cultura.
È un libro che va letto da tanti, soprattutto in Italia.
Giovanni Palladino
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