Definire “moderni” due personaggi nati 126 anni fa (Einaudi) e 129 anni fa (Sturzo) può sembrare azzardato. Ma se si conoscono bene il pensiero e l’azione di questi due grandi italiani, la loro attualità per i nostri tempi emerge chiaramente.
Nel Corso della loro lunga vita (87 anni per Einaudi e 88 anni per Sturzo), essi combatterono da convinti e autentici liberali contro la cultura socialcomunista e contro la cultura dello Stato accentratore di Giolitti, di Mussolini e della sinistra democratica.
Einaudi e Sturzo erano due uomini politici moderati, che vedevano con grande chiarezza gli errori della sinistra e della destra dei loro tempi. Entrambi ritenevano che le ali estreme dello schieramento politico andavano “smussate” e che lo sviluppo più sano del Paese si sarebbe realizzato con la convergenza della sinistra e della destra verso posizioni moderate di centro e non con lo slittamento del centro verso sinistra o verso destra.
Negli anni ‘ 50 essi erano in piena sintonia con Adenauer e con Erhard, ossia con i due artefici dell’ economia sociale di mercato della Germania. Se le idee di Einaudi e di Sturzo avessero vinto negli anni ’50, avremmo evitato quel misto corrotto di economia socialista di mercato che purtroppo ha prevalso in Italia negli ultimi 40 anni.
Oggi che un po’ tutti, a destra e a sinistra, si Professavano antistatalisti e favorevoli ad moderna economia di mercato, la grande attualità di Einaudi e Sturzo risulta evidente. Nel leggere i loro scritti emergono virtù profeti che, che di solito appartengono a chi possiede un patrimonio di valori e di principi saturi e di verità e di eticità. Chi sta nel vero ha una grande chiarezza di idee e acquisisce capacità profetiche, riesce a vedere meglio, a prevedere, quanto gli altri guardano ma non vedono, ascoltano ma non sentono. Einaudi e Sturzo hanno fatto tante profezie, ma io mi limito a citarne soltanto due. All’inizio degli anni ’20, Einaudi raccolse alcuni suoi scritti in un libro dal titolo lapidario:
“Prediche”. Nella seconda metà degli anni ‘ 50, con 35 anni di esperienza in più, egli riunì altri suoi scritti in un libro dal titolo: “Prediche inutili”. L’aggettivo “inutili” io lo interpreto non solo come un segno di umiltà e di ironia da parte di Einaudi, ma anche e soprattutto come una dimostrazione delle sue virtù profetiche. Egli ormai intuiva che l’Italia emergente, quella del centrosinistra, non avrebbe accettato le sue “prediche” troppo liberiste e per nulla socialiste.
Il suo pensiero liberale era agli antipodi del pensiero statalista, che vuole lo Stato imprenditore, lo Stato banchiere, lo Stato assicuratore, ovvero lo Stato “tuttofare”. Einaudi sosteneva che la vera libertà degli individui si ottiene con la libertà dall’ingerenza indebita dello Stato nella società civile, perchè questa ingerenza ostacola la naturale creatività dell’uomo e ne impedisce la maturità.
Una persona diventa matura, quando diventa responsabile, quando sa usare la sua libertà responsabilmente. Lo Stato accentratore e interventista non forma, ma deforma, è fautore e complice di inefficienza e di corruzione, anzichè loro avversario.
Sta qui la radice dell’ avversione di Einaudi per le teorie economiche e politiche del socialcomunismo. Nel 1911 egli scrisse: “Ho nel mio studio, in uno scaffale, i classici dell’economia politica e quando li guardo mi sembra davvero di doverli guardare con la riverenza che si deve entrando in un Santuario. Invece i libri dei socialisti li ho cacciati al pianterreno, in un’altra libreria, per non averli davanti agli occhi in ogni momento, tanta è l’irritazione e il disgusto che la maggior parte delle volte mi danno nell’aprirli”.
Per Luigi Sturzo cito una profezia, che ne riassume tante altre, tratta dal suo ultimo articolo pubblicato sul Giornale d’Italia il 21 luglio 1959 con il titolo “Appello ai senatori Dc”:
“Guardate bene ai pericoli delle correnti organizzate in seno alla Dc; si comincia con le divisioni ideologiche; si passa alle divisioni personali; si finisce con la frantumazione del partito”.
La considero una profezia “riassuntiva”, perché le si può dare il titolo di un famoso articolo di Sturzo scritto negli anni ‘ 50: “Attenti ai mali passi”. I mali passi erano:
– la preannunciata apertura a sinistra da parte della Dc che Sturzo cercò di bloccare;
– il conseguente aumento dello statalismo e della partitocrazia, ossia del dannoso intervento dello stato e dei partiti nell’economia;
– questo intervento indebito avrebbe appesantito la spesa pubblica, con il conseguente aumento della pressione fiscale e contributiva che tanti danni avrebbe provocato all’economia, fra i quali anche la crescita del lavoro in “nero”.
Il risultato naturale di questi “mali passi” sarebbe stato il diffondersi della corruzione e dell’immoralità ai vertici e quindi alla base della società. Tutto ciò avrebbe portato all’inevitabile frantumazione di un partito, che pur dichiarava di ispirarsi ai valori cristiani.
Nel 1956 Sturzo scriveva queste parole ammonitrici:
“La missione del cattolico in ogni attività umana, politica, economica, scientifica, artistica, tecnica è tutta impregnata di ideali superiori, perché in tutto ci si riflette il divino.
Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo e al marxismo, l’arte decade nel meritricio”.
La sconfitta di Einaudi e di Sturzo negli anni ’50 è costata una enormità all’Italia, sia in termini monetari che in termini morali.
Questi enormi costi sono stati causati da decenni di netto predominio della cultura marxista, che sin dal 1891 – con la “Rerum Novarum” – la dottrina sociale della Chiesa aveva bollato come incapace di risolvere i problemi economici della società e anzi capace di aggravarli, come poi è avvenuto nei paesi del cosiddetto socialismo reale.
Nel 1954, riferendosi a Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, Sturzo scrisse: “Certi cattolici dovrebbero finirla con il vagheggiare una specie di marxismo spurio, buttando via come ciarpame l’insegnamento cattolico-sociale della coesistenza e cooperazione fra le classi, e invocando un socialismo nel quale i cattolici perderebbero la loro personalità e la loro efficienza”. Fedele alla famosa profezia di Leone XIII (“Tutti proprietari, non tutti proletari!” è scritto nella “Rerum Novarum”), Sturzo si schierò sin da giovane a favore della proprietà privata e dell’ iniziativa privata, denunciando l’invadenza dello Stato accentratore e falsamente liberale) di Giolitti. Come Einaudi, egli capì subito che il senso di responsabilità e il senso di autodisciplina – necessari per gestire bene il dono della libertà – non potevano svilupparsi in presenza di uno Stato “padrone” o in un sistema dove non circolava la stimolante aria della libera concorrenza.
Sturzo, molto prima di Einaudi, ebbe l’opportunità di applicare sul terreno concreto dell’ azione politica gli insegnamenti della “Rerum Novarum”. Nel 1894 fu ordinato sacerdote; nel 1897, a 26 anni, iniziò la sua attività politico-sociale e nel 1905, a 34 anni, fu nominato sindaco del suo paese, Caltagirone, carica che mantenne sino al 1920.
In 15 anni riuscì a sollevare Caltagirone da una povertà atavica, eliminando privilegi e corruzione dalle stanze del Comune (“voglio che il Comune diventi veramente comune, ossia di tutti, e non di 5 o 6 grandi famiglie”) e investendo molto nell’istruzione e nella formazione. Creò le condizioni per favorire la creazione di una maggiore ricchezza, che non finisse nelle solite mani.
Si accorse che le idee “rivoluzionarie” di Leone XIII funzionavano nella vita di tutti i giorni. Non erano idee astratte. Erano idee che producevano quel cambiamento, che il popolo attendeva da millenni: la partecipazione, il coinvolgimento, il cointeressamento. Da oggetto nelle mani del potere, la gente comune poteva diventare finalmente soggetto, responsabile del proprio destino. Chi nasceva povero non era più condannato a morire povero.
Di qui la ben nota “grinta” di Sturzo, spesso polemica, la sua perseveranza, la sua intransigenza, la sua coerenza per tutta la vita nella difesa e promozione di valori e principi, che egli considerava derivanti più da leggi naturali che non da leggi economiche.
Di qui nel 1924 il passo obbligato dell’esilio, che durò ben 22 anni, quando si accorse che la forza della ragione non poteva più competere con la violenza della dittatura.
Di qui negli anni ‘ 50 le sue parole dure rivolte più agli amici che non agli avversari.
Ecco un esempio significativo. Nel 1957 scrisse: “Amici della sinistra Dc, la verità è che voi mi accusate di difendere i monopolisti privati, solo perché difendo l’iniziativa privata; mi accusate di non curare il benessere dei lavoratori, solo perché io lo concepisco legato ad una economia sana e perché reputo i monopoli e le imprese statali essere basati su di un’economia falsa e bacata; mi accusate di non comprendere le istanze presenti e di essere fermo al passato solo perché lotto contro la politica di classe e contro il socialismo di Stato”.
Einaudi era sulla stessa linea. I due non avevano in comune soltanto il nome di battesimo, ma tutto il patrimonio culturale. Di qui anche la grande stima reciproca. Nell’introduzione ad un suo libro, Sturzo scrisse:
“Nel’ 47 De Gasperi fece un colpo da maestro: inserì nel governo il Prof, Luigi Einaudi, governatore della Banca d’Italia, che fermò con misure semplici e sane la discesa preoccupante della lira; furono così poste le premesse della ripresa economica”.
E qualche anno dopo: “L’elezione a Capo dello Stato del saggio e liberale Prof. Einaudi servì a dare maggiore fiducia nell’avvenire del Paese”.
La grande stima di Einaudi nei confronti del sacerdote di Caltagirone si manifestò concretamente nel 1952 con la nomina di Sturzo a senatore a vita su proposta diretta dello stesso Einaudi. E si manifestò anche nel libro delle “Prediche Inutili”, dove un capitolo è dedicato a Sturzo. Einaudi lo difese dalle critiche di Luigi Salvatorelli, che riteneva Sturzo un “liberista antisociale”, e affermò:
“Sturzo è contrario alle idee che combatte non tanto perché sono causa di danno economico, ma soprattutto perché corrompono la società politica, asserviscono gli uomini, conducono alla tirannia e alla immoralità.
A questo liberismo, che io preferisco chiamare liberalismo, non si può apporre l’aggettivo “antisociale”, Sono invece antisociali il socialismo, il dirigismo e lo statalismo, perché cagione di miseria economica, di discordia sociale e di tirannia politica, mentre il liberalismo promuove l’elevazione dei più, la stabilità sociale e la libertà politica”.
Sono convinto che se negli ultimi 50 anni la cultura liberale di Einaudi e Sturzo avesse prevalso sulla cultura statalista, in Italia avremmo avuto una economia di mercato ben temperata da una Stato arbitro e non giocatore, uno Stato che avrebbe lasciato alla libera concorrenza il compito di stimolare tutti al rispetto delle regole, facendo capirero e non con lo slittamento l’interesse di tutti. E un rispetto che ritiene possibile l’unione fra etica ed economia, fra etica e politica.
Se è vero che “il crimine non paga”, si dovrebbe anche avere il coraggio di dire – senza temere di essere presi per utopisti – che “l’etica paga, conviene a tutti”.
Lo dimostrò con i fatti per 15 anni il sindaco Sturzo.
E’ per questo che alla fine della sua vita, Sturzo scrisse:
“C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, che si esercita senza competenza, che si attua con furberia. E anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati e l’altra della vita pubblica, che non sarebbe morale né moralizzabile.
Ma la mia esperienza lunga e penosa mi fa concepire la politica come saturata di eticità, ispirata all’amore del prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune”.
È interessante ricordare cosa intendesse Sturzo per immoralità pubblica:
“L’immoralità pubblica non è caratterizzata solo dallo sperpero del denaro, dalle malversazioni, dai peculati. Applicare sistemi fiscali ingiusti o vessatori è immoralità; dare impieghi di Stato o di altri enti pubblici a persone incompetenti è immoralità; aumentare i posti di impiego senza necessità è immoralità; abusare della propria influenza o del proprio posto di consigliere comunale, di deputato, di ministro, di dirigente sindacale, nell’amministrazione della giustizia civile o penale, nell’esame dei concorsi pubblici, nelle assegnazioni degli appalti è immoralità”.
Se oggi nel mondo c’è ancora tanta povertà e ingiustizia sociale, lo si deve in gran parte alla carenza di comportamenti etici fra le classi dirigenti, una carenza dovuta per lo più alla mancanza di fede nella diffusione dei comportamenti etici nei quartieri alti.
Lo scettico dice: questa è pura utopia. Ma ci conforta un bel pensiero di Oscar Wilde:
“Il progresso si realizza con l’avverarsi delle utopie”.
E in effetti basta pensare alla fine della schiavitù, al volo umano, alle conquiste della medicina, ai miracoli informatici e informativi realizzati partendo da una semplice piastrina di silicio. Il nostro cervello è piccolo, ma allo stesso tempo si rivela enorme, nel senso qualitativo del termine, quando si pone al servizio del bene comune.
Desidero concludere ricordando una preziosa regola di vita che Luigi Sturzo diede a mio padre poco prima di morire:
“Non dimentichi mai che tutto dipende dal buon uso della libertà. Dio, nel darei la libertà di fare cose giuste, ci ha dovuto dare anche la libertà di sbagliare. Diversamente, la prima libertà non avrebbe avuto alcun valore, non avremmo avuto alcun merito nel fare le cose giuste. La libertà di sbagliare deve esistere. Pertanto la libertà è un’arma a doppio taglio, ma uno solo è il verso giusto.
Di qui la grande importanza dell’uso responsabile della libertà”.
Ebbene, Luigi Einaudi e Luigi Sturzo sono stati due grandi maestri nell’uso responsabile della libertà: non solo lo hanno insegnato, ma lo hanno anche praticato. L’auspicio è che il significato di questa loro modernità sia compreso da un numero crescente di italiani.
Giovanni Palladino
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