La costruzione del tempio risale al 1639, erroneamente nel secolo scorso era diffusa l’opinione che l’edificio fosse stato eretto, come l’omonima chiesa veneziana, per voto contro la mortale epidemia di peste che nel 1630 aveva provocato in Este circa 3000 vittime.
Nella realtà, la costruzione è collegata ad una serie di fatti definiti prodigiosi attribuiti a un immagine della Beata Vergine del Carmine, affrescata in Borgo S.Pietro sul pilastro del portone nelle proprietà di Giovanni Antonio Capovino.
L’immagine era stata fatta dipingere dallo stesso proprietario nel 1626, da un certo maestro Giulio, pittore atestino, per incentivare la devozione dei passanti.
Scelta assai sintomatica, che dimostra quanto gli insegnamenti controriformisti del Cardinale F.Borromeo, il quale nel “de pictura sacra” sottolineava che la “pietà venga fomentata anche dalle arti”, fossero capillari e raggiungessero in breve tempo anche il territorio estense.
Il Capovino, in seguito a quanto accaduto, il 16 luglio 1639, donava alla Magnifica Comunità di Este l’area per la costruzione di un oratorio da dedicare alla Beata Vergine dei Miracoli.
Ricevuto il permesso da parte del senato veneziano, il 12 settembre 1639, il podestà di Este approvava il modello presentato dal perito atestino Antonio Zucato, incaricato del progetto.
Questo progetto non fu portato a compimento, perché durante la fase costruttiva l’edificio crollò seppellendo sei persone.
Estromesso dai lavori Zucato, che dal processo dovette risultare il responsabile dell’accaduto, il senato veneziano invia ad Este il Capitano di Padova per risolvere la controversia fra Zuane Barcheto (muraro veronese che aveva progettato la chiesa a forma rotonda) e il porticatore Alvise Scala che pretendeva la soprintendenza dei lavori apportando “modifiche, dispendio e confusione oltre al ritardo”.
Scartati per inadeguatezza i progetti dei due contendenti, la realizzazione venne affidata al perito padovano Francesco Zanini.
L’idea che venne approvata prevedeva un edificio a pianta ottagonale che permetteva di conservare le fondamenta già realizzate e salvare, inglobando nella costruzione (parte retrostante dell’altare maggiore), il muro dipinto, senza dover strappare l’affresco.
Grazie alle copiose elargizioni, i lavori trovano compimento nel corso dell’anno (1640) con grande soddisfazione di tutta la cittadinanza.
Un esempio di chiesa ottagonale prima del 1640 in zona lo si può trovare nella sola Rovigo con la chiesa denominata “Rotonda”.
Questa soluzione planimetrica ebbe particolare fortuna dopo il Concilio di Trento, ove venne ribadito il dogma dell’Immacolata Concezione. La forma ottagonale che prima era stata prevalentemente usata solo per i battisteri come simbolo di purificazione, ora sollecitava la fantasia degli architetti.
Tra questi è da menzionare senz’altro il Longhena che più di altri con l’opera della “Salute” di Venezia s’impone nel panorama architettonico e religioso.
Nel Veneto in realtà pochi seguirono quell’esempio, tra questi senz’altro però ci sembra si possa annoverare il Zanini.
Infatti quando è presentato il modello della chiesa di Este è ancora aperto il cantiere della fabbrica veneziana del Longhena (1631-1648).
Il Zanini doveva spesso recarsi a Venezia per assolvere ai suoi incarichi in qualità di “proto pubblico di Padova”. Perciò non sorprende che in città guardasse alle novità introdotte dal Longhena e per le quali verrà nominato “proto ufficiale della Serenissima”.
Liberi nel presbiterio un altro telero è del lombardo Federico Cervelli.
Altre tele, e quelle delle sacrestie, sono opere Più o meno pregevoli di scuola veneta.
Le quattro statue nelle nicchie alle pareti della navata raffigurano i santi padovani Antonio, Prosdocimo, Daniele e Giustina.
Sopra l’altare una nicchia quadrata mostra l’affresco della Madonna col Bambino attribuito ad un mastro Giulio e che sarebbe stato l’occasione per far sorgere la chiesa.
La chiesa atestina infatti ha molte analogie con quella veneziana. La pianta ottagonale innanzitutto. Ma poi anche l’originale soluzione absidale con i due campanili appaiati e realizzati anch’ essi a pianta ottagonale. Un altro elemento lo si può ravvisare nella composizione architettonica dei prospetti, ove è sempre restituito e sottolineato esternamente lo spazio interno della chiesa. Un altro ancora, l’attenzione per i particolari architettonici marmorei, cioè cornici, capitelli ionici delle lesene, portali.
Certo nei prospetti si fa largo uso di intonaco, espressione più semplice e comunque molto usata da un altro illustre architetto il Palladio, che in questo caso può essere stata indotta però più da motivazioni di carattere economico che estetico.
In buona sostanza si può quindi ritenere la chiesa della Salute di Este come un buon esempio di architettura seicentesca: il suo autore coglie rispetto ad altri architetti a lui contemporanei le novità introdotte dal Longhena. Rimane così un edificio religioso che è diretta espressione e testimonianza dell’architettura del tempo e tra i più singolari della zona.
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